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L’intelligenza artificiale e la nuova medicina delle 4P

di Gaetano Lanza

Alle famose 4 P della medicina del futuro (preventiva, personalizzata, di precisione, predittiva) è indispensabile aggiungere quella di “partecipazione”. L’obiettivo sarà la persona, sana o malata, non più la malattia. L’individuo-paziente sarà chiamato a partecipare alla costituzione e alla crescita di una coscienza di salute collettiva. Per riuscirci, bisognerà governare le grandi sfide dell’intelligenza artificiale e operare un cambio di paradigma nella medicina contemporanea.

La mente umana apprezza un’idea strana tanto quanto il corpo apprezza una proteina strana, e le resiste con altrettanta energia.
(W.I. Beveridge)

Oggi siamo abituati a pensare le macchine come fredde, obbedienti, inorganiche, regolate da ferrei automatismi… Nel prossimo futuro avranno una composizione ibrida organica/inorganica o addirittura saranno totalmente organiche: quindi calde, opache, capaci di performance cognitive, euristiche e forse – perché no? – emotive.
(R. Marchesini)

Andranno li omini e non si moveranno,
parleranno con chi non si trova,
sentiranno chi non parla.
(Leonardo da Vinci)

Il termine 4P Medicine è stato coniato nel 2013 da Leroy Hood, scienziato esperto in biotecnologia, genomica e proteomica, convinto sostenitore del passaggio culturale dalla “cura delle malattie” alla “gestione complessiva del benessere degli individui”. Il 2013 è stato anche l’anno in cui l’umanità ha preso coscienza che il 90% dell’informazione digitale globale era stata generata nei soli due anni precedenti. Nel 2000 le informazioni digitali rappresentavano il 25% di tutta l’informazione prodotta sul pianeta. Nel 2013 hanno toccato il 98%.

In ambito sanitario la digitalizzazione dei dati ha subìto un’esplosione incredibile ben più che in altri settori. Ciò è dovuto alla sempre più frequente applicazione del digitale, ad esempio nell’informatizzazione delle cartelle cliniche, nella gestione della diagnostica per immagini, nella bioinformatica, nello studio della genetica degli individui, ma anche nello sviluppo delle app mediche, della telemedicina e di sistemi innovativi di trasmissione e interpretazione di dati di singoli soggetti e pazienti sui quali vengono applicati sensori (per il monitoraggio di parametri vitali) che a breve potranno diventare microchip elettronici impiantabili. I data-base diventano così sempre più big data-base e il destino è che diventino dei veri e propri data lake, in cui il pericolo di disperdersi è molto a portata di mano, o di dito, visto che parliamo di digit.

L’inizio del XXI secolo e del terzo millennio sarà ricordato nella storia della medicina per la rivoluzione digitale che sta rinnovando anche i modelli di cura tradizionali della medicina occidentale. La figura del medico storico classico (ippocratico) metteva, continua a mettere e metterà ancora a frutto la propria esperienza, forgiata su quella della scuola di apprendimento, quindi personale e scolastica, per raccogliere artigianalmente tutti i dati possibili in una cartella clinica, solo da poco informatizzata, al fine di curare al meglio il paziente. Il medico tradizionale ha sfruttato nei secoli il metodo empirico induttivo prima e teorico deduttivo poi: dal Settecento in poi si è imposto il metodo scientifico e positivista, per cui il medico nel Novecento ha dovuto sempre più prediligere la verifica sperimentale, fino agli ultimi due decenni del secolo scorso, quando è nata, dalla medicina scientifica, quella basata sulle prove o evidenze e quindi sulla verifica matematica/statistica dei dati man mano ottenuti (evidence-based medicine).

Lo sviluppo contemporaneo dell’informatica ha offerto l’archiviazione, elaborazione, analisi e reporting più agevole di quantitativi ingenti di dati clinici e sperimentali che il computer ha messo rapidamente a setaccio e a confronto in modo più efficace ed efficiente rispetto a qualsivoglia mente umana. A ciò si è aggiunto, inevitabilmente, l’emergere di fenomeni quali l’intelligenza collettiva, quella artificiale, virtuale, i sistemi di cognitive computing, cognitive analytics, di machine learning, risultati della rivoluzione digitale che ha instaurato l’era degli algoritmi, capaci di interpretare in frazioni di secondi moli enciclopediche di dati che il cervello umano, pur possedendo capacità logiche e mentali ben superiori a quelle delle macchine, non potrebbe neanche in decenni riuscire ad assemblare e esaminare in termini quantitativi e qualitativi così sofisticati e performanti.

In questo scenario di analisi di ampie casistiche ed esperienze raccolte ed elaborate con metodo scientifico e matematico dalla fine del secolo scorso in poi, che costituiscono ancora il bagaglio e la base su cui è pur sempre il medico a delineare e scegliere i percorsi ritenuti più idonei per i propri pazienti, si affacciano e prendono sempre più piede gli algoritmi interpretativi dei supercomputer che, raccogliendo e elaborando big data long data (dati che riguardano lunghi archi spaziali e temporali), per ora si accompagnano – e in determinati casi si rendono alternativi – al medico in alcuni processi decisionali, ma che a breve potrebbero sostituirlo (anzi, in alcune realtà già lo sostituiscono). Senz’altro questa ibridazione dell’Uomo con la Macchina, questa integrazione tra intelligenza biologica e intelligenza al silicio e quindi necessariamente del medico con il supercomputer caratterizza il nuovo paradigma della medicina del futuro e il nuovo profilo del medico del terzo millennio. Il semplice computer, d’altronde, è il nuovo strumentario, la nuova “borsa del medico”, per cui questi non deve neanche recarsi a domicilio per visitare il paziente, o viceversa questi non deve neppure recarsi in ambulatorio o in ospedale, come abbiamo visto specie in periodo Covid, a fronte di un altro personal computer o dispositivo mobile dal lato paziente.

La Macchina Intelligente può diventare così nelle varie formule informatiche il nuovo intermediario, il nuovo baricentro del rapporto medico-paziente, essendo anche dotata di capacità quali-quantitative superiori alla mente e all’occhio umano per analizzare, fare screening, diagnosticare, confrontare dati e pattern provenienti da varie fonti di indagini e dispositivi. È ampiamente risaputo che sistemi di machine learning sono in grado di elaborare e confrontare con velocità inimmaginabile, assoluta e imparziale precisione enormi dataset e apprezzare differenze che sfuggirebbero a qualunque essere umano per quanto esperto. Un esempio pratico è lo screening mammografico e la diagnostica radiologica computer assistita. La Macchina, acquisendo sempre più dati da entrambi i fronti, quello del medico e quello del paziente, e a un livello universale, è sempre più in grado non solo di elaborare informazioni in crescita esponenziale ma di costruire da sé – essendo programmata per farlo – algoritmi interpretativi e decisionali che non solo vengono messi a disposizione su entrambi i fronti, ma che possono, sempre su entrambi i fronti, anche prendere iniziative a livello informativo, formativo, educazionale e decisionale.

Non mancano tuttavia diverse critiche o segnalazioni di limiti e bias di cui tener conto riguardo alla performance e alla completa affidabilità degli attuali sistemi di machine learning e computer assisted medicine, come segnalato di recente ad esempio da Giampaolo Collecchia, che non a torto sostiene la necessità di «realizzare studi metodologicamente robusti, prospettici di confronto tra team di medici che utilizzano sistemi basati su algoritmi e team che non li utilizzano, evitando invece paragoni diretti, meno significativi, tra medici e intelligenza artificiale. Solo in questo caso saranno realizzate, nel prossimo futuro, tecnologie effettivamente applicabili in contesti clinici reali anziché sperimentali» (Collecchia, 2020).

Possiamo concordare con diverse recenti segnalazioni in letteratura (He et al., 2019; Parikh et al., 2019; Angus, 2020; Jameson et al., 2015) sui diversi limiti che presentano ancora gli algoritmi digitali in medicina, per cui si parla di necessità di traning data, vale a dire di una sorta di necessario ulteriore apprendimento da parte della Macchina prima di poterla giudicare affidabile, al di là del fatto che potrebbe pur sempre permanere il bias insito nell’utilizzazione meccanica e automatica dei dati elaborati senza poter dare giusti pesi valoriali e interpretativi e quindi considerazioni, giudizi e conclusioni ponderate a fini decisionali a oggi appannaggio solo della mente umana. L’intelligenza artificiale in medicina necessita di essere ulteriormente implementata per raggiungere quello stadio di maturità in grado di farla ritenere largamente affidabile e adottabile nella pratica clinica, essendo per ora ritenuta tale solo in alcuni ambiti circoscritti e limitati, perlopiù di ricerca e sperimentali, che restano da validare ulteriormente. È probabile che per questa maturazione non necessiti molto tempo, vista la modalità di accelerazione esponenziale che contraddistingue lo sviluppo e la crescita delle tecnologie digitali. Essendo in gioco vite umane e lo stesso destino dell’umanità, avremo comunque bisogno di prove certe e incontrovertibili della sua affidabilità senza farci prendere dal cosiddetto pro-innovation bias, frutto di grande aspettativa e ingenua propensione ad accettare l’innovazione tecnica in modo acritico.

L’Homo Novus Tecnologicus

Tre sono i fenomeni in rapida evoluzione in questo inizio millennio che tendono ad autoalimentarsi interagendo tra di loro: lo sviluppo continuo delle varie discipline scientifiche biomediche e non solo che tendono a ramificarsi sempre di più; la crescente connessione tra le diverse popolazioni in cui gli individui imparano gli uni dagli altri e riversano continuamente dati sui social network e sulla rete che si connota quale cloud sempre in espansione;  “internet delle cose” per cui oggetti, resi per così dire intelligenti, interagiscono in rete tra di loro e con gli esseri umani a (presunto) vantaggio finale di questi ultimi.

Siamo nati per connettere e per connetterci. «Siamo una specie i cui individui sono capaci di cavarsela meglio insieme. Per questo abbiamo sviluppato il linguaggio e molte altre tecniche per lo scambio delle informazioni e la sedimentazione della conoscenza» (De Biase, 2015). Gli studiosi fanno risalire a circa 160.000 anni fa (Paleolitico superiore) – alcuni addirittura a un’epoca precedente – le prime forme rudimentali di espressioni linguistiche dell’Homo sapiens per comunicare informazioni tra singoli individui per proteggersi singolarmente e proteggere la prole e la specie. Da allora, grazie al linguaggio che ha consentito al cervello umano di evolversi, la nostra specie è diventata dominante e altamente tecnologica per sopravvivere secondo il pensiero darwiniano. E l’Homo sapiens sapiens, ora tecnologicus, ha escogitato solo da pochi decenni un nuovo linguaggio e un nuovo stratagemma incredibilmente più tecnologico e performante, quello digitale, creando un cervello elettronico supplementare al suo e in grado di potenziare la capacità di calcolo, analisi, elaborazione e comunicazione di informazioni e allo stesso tempo di unire miliardi di cervelli umani in una sorta di intelligenza digitale universale. Il patto fondamentale è che sia comunque sempre l’Uomo ad avere l’ultima parola e a determinare o influenzare il proprio destino, quindi che sia sempre il medico a determinare o influenzare il destino del paziente e non la Macchina. Con qualunque intelligenza artificiale si avrà a che fare in futuro, le implicazioni e le considerazioni di buona pratica clinica, etiche, legali, socio-politiche, psico-sociali, filosofiche, olistiche necessariamente dovranno e d’altronde non potrebbero che rimanere pur sempre di dominio umano.

Serve intanto un’ecologia dei media e delle piattaforme di connessione e un’infosfera sana oltre che basata sulle diversità e molteplicità di informazioni, al servizio e non sovrastante l’umanità. Uno dei timori potrebbe essere quello che la tecnologia si trasformi molto più velocemente di quanto l’Uomo sia capace di comprenderla e dominarla. Potrebbe giungere, forse prima di quanto noi possiamo oggi immaginare, il momento in cui gli esseri umani, col rischio reale di essere poi superati, si fondino in simbiosi mutualistica con la Macchina per salire molto più in alto sui gradini dell’evoluzione di specie. Sarebbe (e forse sarà) un momento cruciale per la nostra specie che si verrebbe (e forse si verrà) a trovare a un bivio, sempre che sbadatamente o inavvertitamente (per l’Uomo) questo bivio non sia già stato superato dalla Macchina senza essercene ancora accorti.

La medicina del terzo millennio

La medicina del terzo millennio assistita dalla macchina intelligente digitale universale cambia necessariamente paradigma e, grazie a questa, diventa sistematica e sistemica, universale e universalizzata. Allo stesso tempo però, sempre tramite la Macchina, può tararsi e personalizzarsi sui parametri del singolo individuo o singolo paziente che la stessa Macchina è in grado di proporre e controllare. Diventa quindi più facilmente medicina personalizzata o di precisione e allo stesso più partecipata e possibilmente non più vista e vissuta soltanto come medicina del bisogno, bensì anche e soprattutto come medicina predittiva e di iniziativa, quindi anche preventiva oltre che curativa. Allo stesso modo anche la ricerca biomedica subisce un salto di paradigma, in quanto non più soltanto condotta in vitro o in laboratorio o in vetrina, affidata solo a studi riservati a popolazioni selezionate e relegata quindi a una sorta di zona franca quasi distaccata e demarcata dal mondo reale, da applicare solo in un secondo tempo alla realtà quotidiana, ma già di per sé applicata anzi generata dalla realtà (vera o virtuale), osservazionale e sperimentale allo stesso tempo in vivo su larga scala. Fino a oggi la ricerca e l’analisi di dati generati mediante protocolli e progetti ad hoc è stata ritenuta aggiuntiva e riservata ad ambiti particolari, a volte elitari. Mediata dalla Macchina, si autodetermina supportata dagli stessi algoritmi della rete, cresce spontanea, più ampia, universale e democratica.

La questione profonda e sconvolgente è se questa nuova medicina possa in futuro anche automatizzarsi in quanto affidata completamente alla Macchina; in tal caso ci sarebbe da chiedersi quale ruolo e spazio potrebbe ancora ricoprire la figura del medico “tradizionale” che si è venuta a delineare negli ultimi due millenni.  Certo, in linea con quanto sostiene Hood, fino a oggi la medicina ha trattato la malattia più che il malato, anche se lo stesso Ippocrate sosteneva che “è più importante sapere che tipo di persona abbia una malattia, che sapere che tipo di malattia abbia una persona”. Ancora oggi si continua a trattare più la malattia che la persona. Ancora oggi si studia più la malattia che la persona. Ancora oggi si studiano e si indagano le persone per studiare, indagare e vincere le malattie. Serve spostare l’obiettivo del nostro cannocchiale e del nostro microscopio dalle malattie alle persone. E ancor più, l’occhio deve puntare non solo sulle persone malate ma anche e soprattutto su chi che non è ancora malato. L’obiettivo futuro saranno le persone sane e in salute, per produrre più salute negli individui. In ogni caso l’obiettivo sarà la persona, sana o malata, non più la malattia. Questo è lo spirito che anima anche la bioingegneria genetica, che unita all’informatica potrà letteralmente trasformare l’umanità.

Ray Kurzweil in suo volume del 2005 intitolato La Singolarità è vicina suggerisce la seguente chiave di lettura: il ritmo del cambiamento e l’evoluzione della scienza sono esponenziali ed esplosive, tali da provocare a breve un salto qualitativo e un formidabile potenziamento della specie umana in grado di superare la sua stessa biologicità e raggiungere la cosiddetta Singolarità. Tre aree in particolare la stanno preparando: l’ingegneria genetica, la nanotecnologia e l’intelligenza artificiale. La rapida ascesa di ciascuna di queste favorisce e accelera quella delle altre. Per Kurzweil in un futuro prossimo la specie umana potrebbe persino raggiungere una certa “immortalità”.  Roberto Marchesini prevede un futuro post-umano caratterizzato dal fenomeno del cosiddetto “biorganismo” che indica «la connessione a tutti i livelli e l’interscambio di flussi informativi per la condivisione di processi cognitivi in grado di realizzare una performatività che supera le capacità dei singoli cervelli», grazie a «sempre più tecnologie in grado di aprire il flusso cognitivo, che oggi si dispiega nel ricettacolo claustrale del neurocranio, all’interfaccia esterna, per offrire una comoda risposta al desiderio di immortalità» che ha sempre avuto la nostra specie (Marchesini, 2002).

Il nuovo paradigma delle quattro P in medicina

Al di là di queste concezioni soteriologiche, di cui l’editoria mondiale è sempre più ricca e che prediligono una nuova religione e una nuova fede caratterizzata da un’entità superiore non più antropomorfa o naturomorfa bensì tecnomorfa, nella concezione di Hood la nuova medicina si riassume in 4 P. La di Preventiva si riferisce a tutte le informazioni che riguardano il genoma umano e che a breve faranno parte della cartella clinica o del fascicolo elettronico di ciascun individuo. L’intelligenza artificiale potrà quindi fare screening e individuare all’istante le patologie a rischio per quella specifica persona (P di Personalizzata o di Precisione) e predire (P di Predittiva) e pianificare le misure più adatte per cercare di evitare l’insorgere di malattie genetiche, tumorali, infettive, degenerative.

Per Hood gli individui sono da considerare “geneticamente unici” e non dovranno più essere considerati singoli elementi di gruppi di popolazioni “standard”. Continuare a studiare solo gruppi o popolazioni o sottogruppi di pazienti o individui è una limitazione da superare. Finora la medicina, interessata più alle malattie che alle persone, ha dovuto necessariamente riunire singoli individui in gruppi o popolazioni, al massimo da stratificare in diversi sottogruppi o sottopopolazioni, finendo per studiare e rivolgersi al cosiddetto paziente “medio” o “standard” che di fatto non esiste nel mondo reale, essendo il risultato della media matematico-statistica di quei gruppi e sottogruppi di popolazioni studiate. Quando poi il medico si trova di fronte al paziente reale è costretto a considerarlo come fosse il paziente medio o standard e semmai a confrontarlo con questo modello statistico. Si parla in questo caso anche di medicina dell’imprecisione.

Tutto ciò non vuol dire che ciò sia stato finora e continui a essere un errore di metodo, ma semplicemente una limitazione. Il nuovo paradigma della medicina personalizzata e mirata al singolo individuo-paziente non necessariamente (almeno per ora) deve eliminare il precedente paradigma della medicina delle malattie, ma lo deve comprendere per superarlo. Nell’evoluzione e nella storia più recente della scienza le nuove teorie o i nuovi paradigmi scientifici sussumono i risultati e i successi delle teorie che le hanno precedute ed estendono il campo di applicazione e il raggio di situazioni che le teorie precedenti non erano più in grado di comprendere e giustificare. Ma le nuove teorie o i nuovi paradigmi non rimuovono del tutto quelle precedenti. Nel secolo scorso la teoria dei quanti ha allargato il raggio di comprensione della meccanica classica e quella della relatività di Einstein ha ampliato il campo di applicazione della gravitazione universale di Newton, ma ancora oggi gli ingegneri per lavorare sulla Terra o per andare sulla Luna usano le equazioni di Newton e non quelle di Einstein, che invece si applicano in condizioni più estreme. Allo stesso modo, la nuova medicina potrebbe non scalzare quella classica tradizionale che si è imposta negli ultimi due millenni, quella di tipo sperimentale che si é imposta negli ultimi due secoli e quella metodologico-statistica che si è imposta negli ultimi due decenni, basata sulle evidenze o sulle prove; semmai potrebbe e dovrebbe sussumerle ampliando il campo di interesse e di applicazione e comprendendo anche settori nuovi e ancora inesplorati come quelli offerti dal digitale.

L’esplosione di questi settori innovativi ancora inesplorati o poco esplorati della nuova medicina del digitale comporterà, a nostro avviso, anche una maggior presa di coscienza da parte del paziente, che avrà modo di svolgere un ruolo ancora più attivo e da protagonista e ancora più determinante per il suo stato e per il suo presente-futuro di salute rispetto a quanto succede oggi. La nuova medicina del digitale si basa quindi sulla maggior partecipazione (P di Partecipata) e cooperazione da parte dell’individuo sano o del paziente attraverso una miriade di informazioni da questi fornite, in alcuni casi più volontariamente in altri casi meno, ma sempre attraverso dispositivi, sensori, social, registri on line e così via. L’individuo-paziente parteciperà alla costituzione e alla crescita di una coscienza di salute collettiva. Sarà e sentirà di essere sempre più cittadino del mondo in una sorta di Organizzazione Mondiale di Sanità che più che un Ente a parte, sovrano e internazionale, con sede in qualche ufficio, sarà la diretta e costante emanazione di questa nuova medicina planetaria fondata sull’intelligenza artificiale collettiva e plurale spontanea, complessa, emergente, alla quale prenderà parte e di cui farà parte ogni uomo sulla terra, dando il proprio piccolo grande contributo come individuo sano, predisposto alla malattia, malato, sperimentatore su stesso, ricercatore di popolazione, operatore sanitario, scienziato,  amministratore pubblico, dirigente sanitario, sociologo, antropologo, filosofo, politico.

Bibliografia

  • Angus D.C., Randomized clinical trials of artificial intelligence, JAMA (323), 2020.
  • Collecchia G., Artificial intelligence systems and precision medicine: Hopes and realities, Recent Prog Med (111), 2020.
  • De Biase L., Homo Pluralis. Essere umani nell’era tecnologica, Codice. Torino, 2015.
  • He J. et al.The practical implementation of artificial intelligence technologies in medicine, Nat Med (25), 2019.
  • Hood L. Systems Biology and P4 Medicine: Past, Present, and Future, Rambam Maimonides Med J (203), 2013.
  • Jameson J.L. et al., Precision medicine. Personalized, problematic, and promisingNEJM(372),
  • Kurzweil R. La Singolarità è vicina, Apogeo, Milano, 2008.
  • Marchesini R., Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino, 2002.
  • Parikh R.B. et al.Adressing bias in artificial intelligence in health care, JAMA (322), 2019.
  • Wilkinson J.W. et al.Time to reality check the promise of machine-learning powered precision medicine, Lancet Digital Health, 2020.

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